Tarquito
Tarquito | |
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Saga | Eneide |
Nome orig. | Tarquitus |
1ª app. in | Eneide di Virgilio, I secolo a.C. circa |
Caratteristiche immaginarie | |
Epiteto | fiero |
Sesso | maschio |
Luogo di nascita | Etruria (?) |
Professione | guerriero |
Tarquito (lat. Tarquitus) è un personaggio citato nel decimo libro dell'Eneide di Virgilio tra i nemici di Enea nella guerra combattuta nel Lazio che vede opposti i profughi Troiani alle popolazioni italiche.
Il mito
[modifica | modifica wikitesto]Le origini
[modifica | modifica wikitesto]" Tarquitus exultans contra fulgentibus armis,
silvicolae Fauno Dryope quem nympha crearat,
obvius ardenti sese obtulit "
(Publio Virgilio Marone, Eneide, libro X, vv.550-52)
" Poscia Tàrquito ardente, e d'armi cinto
Fulgenti e ricche, incontro gli si fece.
Era costui di Fauno montanaro
E de la ninfa Drïope creato,
Giovine fiero "
(traduzione di Annibal Caro)
Tarquito è un semidio italico, essendo figlio della ninfa Driope. Il padre dell'eroe si chiama Fauno: non si tratta del dio dei boschi ma di un mortale suo omonimo (altrimenti Tarquito risulterebbe nato da due divinità e ciò è impossibile dato che non è immortale). Egli figura tra i nemici di Enea: non è dato sapere a quale popolo appartenga, anche se la forma del nome, molto vicina a Tarquinio, fa propendere per un'origine etrusca. In tal caso il guerriero sarebbe uno dei sostenitori di Mezenzio.
La morte
[modifica | modifica wikitesto]Giovane orgoglioso e pieno di coraggio, Tarquito, che è semidio come Enea, sfida a duello il capo troiano che sta facendo scempio di italici per tutto il campo di battaglia. Tarquito affronta Enea, ma viene subito atterrato, poi disarmato completamente per subire quindi la decapitazione nonostante le suppliche; Enea infine fa ruzzolare la testa e il busto del nemico nella foce del fiume Tevere, impedendo così alla sua anima l'accesso immediato all'Ade,[1] essendo questa la sorte riservata ai morti insepolti secondo la credenza del tempo, come del resto è detto nelle parole di scherno che il capo troiano rivolge alla sua vittima dopo averne gettato i resti in acqua:
" Ille reducta
loricam clipeique ingens onus impedit hasta;
tum caput orantis nequiquam et multa parantis
dicere deturbat terrae truncumque tepentem
provolvens super haec inimico pectore fatur:
- Istic nunc, metuende, iace. Non te optima mater
condet humi patrioque onerabit membra sepulchro:
alitibus linquere feris aut gurgite mersum
unda feret piscesque impasti volnera lambent -. "
(Publio Virgilio Marone, Eneide, libro X, vv.552-60)
" Esultante Tarquito in fulgid'arme
da Ninfa Driope a Fauno silvano
generato, si offerse di rincontro
al furibondo Enea, che intorta l'asta
il pondo dello scudo e la corazza
confitti ed impediti gli ritenne.
Indi a quell'infelice, che pur molto
pregava, e molto dir volea, la testa
recide al suolo rotolata; e il caldo,
sanguigno tronco voltolando, in questi
ostili accenti eruppe: - Or qui ti giaci,
formidabile eroe. L'ottima madre
non fia che in terra ti ricopra, e il corpo
ti ricomponga nella patria tomba.
Pasto rimani a' feri augelli; o immerso
ne' gorghi andrai. Verran per l'onde i pesci
famelici a lambir le tue ferite - "
(traduzione di Antonio Buccelleni)
Interpretazione e realtà storica
[modifica | modifica wikitesto]Notevole, nell'episodio, il venir meno della proverbiale pietas di Enea, che per la prima e unica volta nega gli onori funebri a una sua vittima: un atteggiamento che contrasta fortemente col dolore da lui provato in passato per la sorte di Palinuro, il suo timoniere rimasto senza tomba. D'altra parte il duello tra i due semidei avviene mentre Enea è ancora sconvolto per aver appreso dell'uccisione, ad opera di Turno, del diletto amico Pallante; è inoltre plausibile che l'eroe troiano veda in Tarquito esultante uno di quei superbi che l'anima di suo padre Anchise gli aveva imposto di non risparmiare (" Parcere subiectis et debellare superbos ")[2]
Vanno rilevati alcuni parallelismi con passi dell'Iliade. Tarquito muore decapitato al pari del troiano Ippoloco, vittima di Agamennone, che gli mozza anche le braccia per poi far ruzzolare busto e testa per tutto il campo di battaglia: un ulteriore elemento di contatto tra i due episodi è dato dal fatto che i vinti supplicano invano di essere risparmiati. Non subiscono invece la decollazione due guerrieri che come Tarquito vengono gettati in pasto ai pesci, ovvero il condottiero peone Asteropeo e Licaone (ad ucciderli è Achille sulle rive del fiume Scamandro).
Note
[modifica | modifica wikitesto]Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]Fonti
[modifica | modifica wikitesto]Traduzione delle fonti
[modifica | modifica wikitesto]- Annibal Caro, Eneide.
- Antonio Buccelleni, Eneide.