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Incipit

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Incipit della prima edizione a stampa della Divina Commedia, 1472

La voce verbale latina incipit (con accentazione sdrucciola; dal verbo incipĕre, letteralmente "incomincia") è la parola iniziale della formula latina che introduce il titolo di un'opera, talvolta anche con il nome dell'autore[1]. In filologia e in bibliografia, con l'incipit, sostantivato, si fa riferimento alle prime parole con cui inizia un testo, e in particolare al primo verso di una poesia.

Se però, in senso stretto, il termine incipit definisce propriamente la parola o la frase o il verso iniziale di un qualsiasi componimento in prosa o in versi, l'uso che ha assunto nella critica letteraria moderna è più esteso. Non solo, dunque, la prima parola o la prima frase, ma l'intera tranche d'avvio, che può essere di lunghezza diversa.

La frase o il verso finale di un'opera letteraria viene invece detta explicit.

L'incipit è, come dice Traversetti[senza fonte], "l'esplosione semantica che genera e avvia il cosmo romanzesco e ci consente di individuarne i caratteri, di intuire panorami e sviluppi futuri" e questo "avviene non appena leggiamo le prime dieci o venti righe". Nel leggere infatti la prima pagina non si viene a conoscenza di tutto il romanzo, ma si creano dei percorsi mentali lungo i quali orienteremo la nostra lettura.

Sia la retorica classica sia la moderna teoria della letteratura sanno che se uno scrittore vuole essere accolto deve sapere influenzare a proprio vantaggio la disposizione del pubblico e che il pubblico, per poter accogliere lo scrittore e quindi quanto scrive, ha bisogno di riscontrare una vasta comunanza di topoi emozionali ed ideologici. Baudelaire diceva che tra il romanziere e i suoi lettori ci deve essere complicità e che questa complicità doveva essere subito attivata prima ancora che iniziasse la vera lettura.

La retorica classica

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La retorica classica affidava proprio all'exordium o proemium, quindi all'inizio del discorso, le regole argomentative. L'exordium doveva infatti "dirigere l'attenzione, la favorevole disposizione e la benevolenza del giudice alla causa di parte presentata nel discorso: cosa particolarmente difficile quando si danno gradi di debole credibilità" (H. Lausberg, in Elementi di retorica, Bologna, Il mulino, 1969, p. 31).

Questa tecnica, che prevedeva la captatio benevolentiae, è stata ripresa anche nel romanzo moderno.

Il titolo e l'incipit

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Già con il titolo il romanzo innesca un processo comunicativo che, pur essendo esterno al testo, spesso lascia trasparire molte allusioni essendo esso solitamente composto da un breve motto riassuntivo. Il titolo rimane comunque sempre un elemento esterno al testo vero e proprio mentre l'incipit ne è parte fondamentale e non appare solo come un segnale di riconoscimento generico di identificazione dell'opera, ma stabilisce subito nel lettore un meccanismo di complesse attese..

Dove termina l'incipit

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Ogni inizio, indipendentemente dalle sue modalità, ha qualcosa di simbolico ed è un atto di creazione che serve a definire la lettura tematica, come ancora oggi fanno le encicliche papali che affidano a un breve incipit di poche parole il doppio compito di documentare e di delineare la lettura del testo. Quello però che oggi viene chiamato incipit è in letteratura qualcosa di molto diverso e più complesso e la prima questione che nasce è quella della sua lunghezza. Se infatti sappiamo che l'incipit ha inizio dalla prima parola, dobbiamo definire dove esso termini.

L'incipit termina dove il racconto, ormai certo della sua convenzione, si affida unicamente a sé stesso e ciò può avvenire dopo una sola riga, al termine di una lunga argomentazione introduttiva, dopo uno stacco concettuale ben definito oppure lungo un percorso, breve o lungo, che esaurisce l'introduzione addentrandosi già nella trama o nel profilo del protagonista.

In medias res

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L'incipit in medias res, pur essendo spesso ambiguo e conduttore di informazioni indirette supplementari, è senza dubbio quello la cui modalità si avvicina maggiormente all'ipotetico grado zero ipotizzato da Barthes ed è il più diffuso a tutti i livelli e in tutte le epoche storiche del mondo narrativo.

«Fino al momento precedente a quello in cui cominciamo a scrivere, abbiamo a nostra disposizione il mondo (...) il mondo dato in blocco, senza né un prima né un poi, il mondo come memoria individuale e come potenzialità implicita (...). Ogni volta l'inizio è quel momento di distacco dalla molteplicità dei possibili: per il narratore è l'allontanare da sé la molteplicità delle storie possibili, in modo da isolare e rendere raccontabile la singola storia che ha deciso di raccontare»

Nel suo saggio Il grado zero della scrittura Roland Barthes si chiedeva se fosse possibile un grado zero, cioè un grado di innocenza della scrittura priva di ogni segno, una scrittura neutra come quella bianca di Camus e di Blanchot o quella parlata di Queneau elaborando una famosa e problematica definizione. Nell'incipit romanzesco può accadere.

Applicazioni pratiche di un incipit che entri subito in mezzo agli eventi del romanzo si possono trovare in molte opere e con diverse modalità. Nell'analizzare il mondo degli incipit partendo da un possibile grado zero, soprattutto nel romanzo moderno e contemporaneo, ci si rende conto che l'incipit maggiormente utilizzato è quello che non fa riferimento al prima e al perché di un evento, ma si colloca subito in media res conducendo il lettore con prepotenza ma evitandogli anche l'elaborazione faticosa di costruire uno scenario. Quando l'incipit viene collocato in media res sono sufficienti poche righe per trattenere e subito indirizzare il lettore nella immedesimazione e nel centro dell'azione narrata:

«"C'è l'avvocato" annunziò mamma Grazia affacciandosi all'uscio. E siccome il marchese non si voltò né rispose, la vecchia nutrice, fatti pochi passi nella stanza, esclamò: "Marchese, figlio mio, non sei contento, avremo finalmente la pioggia!" Infatti lampeggiava e tuonava da far credere che tra poco sarebbe piovuto a dirotto... e già radi goccioloni schizzavano dentro dall'aperta vetrata del terrazzino.»

Questo incipit di Luigi Capuana tratto da Il marchese di Roccaverdina è un esempio specifico di ogni esordio in medias res.

Il lettore, trascinato nel cuore della narrazione, riesce in poche righe a comprendere molte informazioni (dall'ambiente sociale in cui l'azione si svolge, alla parentela di alcuni personaggi, alla patita attesa dell'evento meteorologico) e a predisporsi per seguire il racconto.

La tecnica d'esordio in medias res è uno dei canoni costanti della tecnica cinematografica. Nei film infatti, escludendo quei pochi esempi in cui lo spettatore assiste ad un prologo o ad un antefatto, magari narrato fuori campo, viene sempre data una prima sequenza che sembra incurante di ogni spiegazione che non sia il grado di suspense predisposto per organizzare ma che poi, nel corso della narrazione, svela i propri motivi.

I vari modi di condurre il lettore in medias res

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Un esordio narrativo in medias res, come nel film, può nascondere le proprie finalità, presentarsi subito con un hic et nunc che crea suspense o sollecitare il lettore con analogie con il proprio vissuto.

In medias res con suspense
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Spesso la sequenza iniziale viene data apparentemente noncurante di ogni giustificazione se non il grado di suspense creato per organizzare quei motivi che saranno svelati nel corso della narrazione.

Certi esordi narrativi di questo tipo nascondono le proprie finalità e non presentano alcun chiarimento, che verranno forniti solamente con lo sviluppo dell'intreccio, rendendo passiva ogni risposta critica del lettore il quale è esortato a convivere fin dall'inizio con l'ambiguità e l'attesa come nel caso del Martin Eden di Jack London che nel presentare le sue righe iniziali non trasmette altro se non una vaga informazione marinaresca con una accattivante suspense senza che il lettore possa nemmeno immaginare tutto l'aggrovigliarsi di difficoltà esistenziali che termineranno nel suicidio del protagonista:

«Il primo aperse la porta con una chiave piatta ed entrò seguito da un giovane che si levò il berretto con fare impacciato. Il giovane indossava rozzi panni che odoravano forte di mare ed era palesemente fuori posto nell'atrio spazioso in cui si trovava. Non sapeva che farsene del berretto e se lo stava cacciando in tasca, quando l'altro glielo levò di mano. Il gesto fu calmo e naturale e il giovanotto impacciato lo apprezzò. Capisce - pensò - mi porterà sino in fondo proprio come si deve.»

In medias res con familiarità
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Non sempre il lettore è lasciato alla suspense ma può accadere che egli venga introdotto in medias res in modo più dolce con una serie di analogie con il proprio vissuto che, pur non rivelandogli la futura vicenda narrata, gli offre delle garanzie con frammenti di un comportamento abituale. Un inizio in medias res, dunque, senza il clima dell'attesa che trova però una sua giustificazione nella convincente proposta della familiarità, indipendentemente dal materiale storico magari sconosciuto al lettore.

Nel leggere l'incipit de Il sosia di Dostoevskij il lettore non ha bisogno di ricordare il contesto storico della Russia perché egli viene, comunque, preso dal senso abitudinario del risveglio e si immedesima immediatamente:

«Erano quasi le otto del mattino quando il consigliere titolare Jakov Petrovic Goljadkin si svegliò dopo un lungo sonno, sbadigliò, si stiracchiò e infine aprì del tutto gli occhi. Per un paio di minuti rimase però a giacere immobile nel letto come uno che non è ben sicuro se è desto o se dorme ancora, se tutto ciò che gli succede intorno è veglia e realtà o non piuttosto la continuazione delle disordinate visioni del sogno.»

Il lettore in questo caso si riconosce nel protagonista e trova facile e non traumatizzante abitare nella casa di via Sestilavocnaja a Pietroburgo dalla quale, attraverso il fluire di insolite vicende, viene condotto man mano, attraverso le angosce della duplicità e le anomalie dell'identità, nel vorticoso cerchio della psicologia dostoevskijana.

Questi modi di introdurre il lettore in modo intuitivo nel centro dell'avvenimento narrato, supplisce alla voluta mancanza, da parte del romanziere, di qualsiasi causalità e temporalità determinata. La scrittura prende l'avvio da un ex nihilo che vede esplodere il suo big - bang, solamente da una forma codificata di comportamento tacito che viene ad instaurarsi tra lo scrittore e il lettore e che permette al più debole, cioè al lettore, di convivere e inavvertitamente di subire, già all'inizio della scrittura, i carattere dei personaggi e tutti gli altri dettagli, partendo da una distanza-zero.

In medias res con gradualità e geometria
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Il romanziere non sempre getta il suo lettore nel vivo dell'opera con tratto noncurante ma cerca, nell'incipit, di immetterlo nella vicenda con gradualità, spesso delineando forme geometriche.

Spesso viene utilizzato un andamento descrittivo a spirale che procede dal generale al particolare, dal grande al piccolo, dall'indistinto allo specifico, fino a raggiungere quell'azione decisiva che mette in moto tutta la trama.

Esempio classico è quello de I promessi sposi del Manzoni.
Esso inizia con la descrizione di un paesaggio ampio e disteso sul quale la vista si afferma immediatamente:

«Quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien quasi a un tratto a restringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra e un'ampia costiera dall'altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all'occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa e l'Adda ricomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l'acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni.»

Subito dopo l'occhio, dopo aver alzato lo sguardo sulle cime circostanti, si restringe fino a cogliere il punto dove sorge la città di Lecco e poi, rimpicciolendo ancora di più la prospettiva, individua la rete delle stradine di campagna fino al momento della messa a fuoco e dell'ingrandimento della figura di don Abbondio per concludersi con la ricerca, ancora più particolareggiata, dei sassi che egli scalcia e solo a questo punto l'incipit può dirsi concluso.

Nel caso dell'incipit del Manzoni si assiste ad una dinamica geometrica e figurativa, terminata la quale l'azione procede e il lettore entra nel romanzo per trovarsi i bravi che compaiono dicendo "questo matrimonio non s'ha da fare, né domani, né mai".

Se l'incipit a spirale riporta sempre una figura dinamica, con la figura del cerchio l'emozione che prova il lettore all'ingresso è di grande quiete.

Si può riportare come esempio l'incipit de Il compagno segreto di Joseph Conrad dove si incontra subito il narratore che occupa il centro dell'ampio cerchio che con lo sguardo va osservando:

«Avevo a dritta due file di pali da pesca simili a un complesso misterioso di steccati di bambù semisommersi, che frazionava incomprensibilmente il regno dei pesci tropicali, e appariva cadente come se l'avesse abbandonato per sempre una tribù nomade di pescatori trasferitasi intanto all'altro capo dell'oceano; ché sin dove l'occhio giungeva non vi era traccia di abitazione umana. A sinistra un gruppo di sterili isolotti, che evocavano ruderi di muraglie, torri e casematte di pietra, era come incastrato con la base in un mare blu che anch'esso pareva solido, tanto era fermo e stabile sotto i miei piedi... E quando volsi il capo per dare uno sguardo d'addio al rimorchiatore che ci aveva appena lasciato all'ancora fuori della barra, scossi la linea retta della costa piatta, unita a quel mare stabile, lembo contro lembo, con una perfetta saldatura invisibile, in un unico piano livellato per metà marrone, per metà azzurro sotto la cupola enorme del cielo.»

A rette parallele
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Se dalla geometria apprendiamo che l'incontro di due rette parallele è posto all'infinito e pertanto non si incontrano mai, dal romanziere possiamo a volte scoprire il loro luogo d'incontro che può essere posto molto prima, come alla conclusione di un romanzo o semplicemente alla fine di un incipit.

L'io narrante

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Quello che crea spesso il coinvolgimento maggiore del lettore è, in questi incipit in medias res, la presenza dell'io narrante, della "soggettività" per usare un termine cinematografico, che propone lo svelarsi ora e subito ponendo sé stesso al centro dell'osservazione e offrendo al lettore il suo stesso angolo visuale come nel significativo incipit di Anatole France ne Il delitto dell'accademico Silvestro Bonnard che introduce con il suo "io narrante" la persona dell'accademico con una autodescrizione che non rivela alcun aspetto della personalità e delle intenzioni dell'autore il quale, solamente più avanti, apprenderà la deformazione psicologica che lo fa diventare ladro dei suoi stessi libri:

«Avevo calzato le pantofole e indossato la vestaglia. Asciugai una lacrima provocata dal vento che soffiava dal viale e mi oscurava la vista. Avvicinai al fuoco la poltrona e il tavolino e presi accanto alla fiamma il posto che Amilcare si degnava di lasciarmi. Amilcare, a capo degli alari, sopra un cuscino di piume, stava raggomitolato col naso tra le zampe.»

La prima persona

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Spesso la tecnica dell'entrare in medias res impone necessariamente l'uso della prima persona soprattutto quando l'autore vuole far comprendere che la situazione presentata non è normale e l'uso dell'io si impone perché non è possibile sottacere o minimizzare l'essenziale. Il lettore viene in questo modo catapultato nel punto drammatico dello scatenarsi delle emozioni che l'autore confessa come nell'incipit del Cuore rivelatore di Edgar Allan Poe:

«È vero! Io sono nervoso, terribilmente nervoso, lo sono stato e lo sono, ma pazzo no! E voi pretendete che lo sia. La malattia aveva affilato i miei sensi, non li aveva distrutti, non li aveva offuscati! Acuto più di tutti era l'udito. Io udivo tutte le cose del cielo e della terra. Udivo molte cose dell'inferno. E allora come posso essere pazzo? Ascoltate attentamente! E osservate con che equilibrio, con che calma posso raccontare tutta la storia. Mi è impossibile dire come in principio mi sia entrata l'idea nel cervello; ma una volta che fu concepita, mi perseguitò giorno e notte. Motivo non c'era. Passione non c'era. Ero affezionato al vecchio, non mi aveva mai fatto un torto. Non mi aveva mai offeso. Non volevo il suo oro. Penso che sia stato il suo occhio! Sì, fu proprio questo! Lui aveva l'occhio di un avvoltoio: un occhio di un azzurro pallido coperto di un velo. Tutte le volte che si posava su di me il sangue mi si gelava nelle vene; e così lentamente - molto lentamente - decisi di togliere di mezzo il vecchio e liberarmi così per sempre dell'occhio.»

In questo inizio Poe s'impone al lettore con la sua soggettività e ne coinvolge l'attenzione all'interno dell'opera.

In epoca contemporanea l'incipit di Poe diventa spesso il prototipo senza vita della maggior parte della Trivialliteratur che, come si sa da tante opere di oggi, è solamente l'indicazione informativa di un genere narrativo destinato al largo consumo di massa.

In questi casi viene utilizzata la confessione o il diario che dà l'idea di una dialettica intima, di un avvio appena sussurrato che evita la descrizione e fa pensare a una semplice registrazione di eventi, una specie di grado zero che viene annunciato nelle prime righe per tradirsi però nel corso della narrazione.

  1. ^ Incipit, in Treccani.it – Vocabolario Treccani on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.

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